Augusta Potestà
Opera 1^ classificata
Continuità
Lo sai che ti ho amato
e ancor oggi una dolcezza infinita
ti raggiunge là ove il tuo corpo giace.
Ma i tuoi occhi color del mare
cercato hanno la luce, e il più bel raggio
per me l’hai riserbato, che a te mi porterà.
Le nuvole bianche, in ciel
Mi vestirai da sposa
con il lor candore e tu
mi prenderai per mano e mi dirai
come in quel dì tanto lontano:
Starai sempre con me, mio dolce amore.
Franco Calzolari
Opera 2^ classificata ex aequo
Il casolare
Nella calura è bello ritornare,
nel dolce olezzar del biancospino,
tra le natie mura del casolare.
Tra queste mura par di risentire,
degli avi miei le voci rimbombare
e dei fanciulli i giochi e il gioire.
Attorno al tavolo par di rivedere
l’affaccendarsi della mamma mia
per metterci tutti quanti a sedere.
Quando per ultimo, affamato e stanco,
giungeva il papà e si sedeva,
e con le sue callose mani spezzava, il pane bianco.
Oh quanto volte poi ci riprendeva,
quando impazienti da tavola ci si alzava
per giocare a nascondino e mosca cieca.
Rivedo te, che m’hai dato i primi turbamenti,
una carezza, un bacio sulla guancia
scambiando i giochi con i sentimenti.
Un misto di rimpianto e nostalgia,
nella mente mia cala lieve, lieve
ricordando il primo amor di vita mia.
Ora il silenzio grava tutt’intorno
si ode solo degli augelli il canto
quasi a voler salutare il mio ritorno.
Silvana Marchini
Opera 2^ classificata ex aequo
A piedi nudi nella terra del cortile
Pulcini e anatroccoli arrivavano
Spiati dagli occhi socchiusi del gatto
Abbracciavo il tronco del noce
Annusavo la corteccia la baciavo
Il profumo dell’arancio fiorito contro
Il muro del gabinetto mi stordiva inebriava
La carriola colma di lenzuola lavate con la cenere
L’orto i fagioli le verdure per il minestrone
L’albero generoso di albicocche grandi dorate dolcissime
Merenda di profumati pomodori caldi di sole
E due fichi dopo cena là in fondo all’orto
Sul bordo del fosso dove chiuse di legno venivano
Alzate e l’acqua entrava lenta ad irrigare
Far scendere il secchio nel pozzo buio e profondo
E bere l’acqua fresca con il mestolo
Attraversare attenta il pericoloso Canton Balin
Comperare grossi pani bianchi con la sporta
E tornare con il pentolino del latte appena munto
Percorrere il viale della stazione sotto i grandi tigli odorosi
Aspettare il tintinnio delle sbarre del casello che si abbassavano
E il treno che la sera riportava la zia che mi chiamava cuoricino
Pescare con un bastone e una corda con i piedi
A penzoloni nell’acqua di una roggia senza pesci
Portare le zinnie dell’orto al nonno al cimitero
Spigolare le pannocchie e bere una scodella di mosto
La sera nel cortile a cavalcioni in braccio alla nonna
Affondare il viso nel suo grembiule scuro saporito di cenere
Ascoltando le voci guardando le campanelle bianche chiudersi
Arrampicate sulla rete di cinta mentre il sonno veniva
Salire le scale e affondare nel lettone di piume
Le mie vacanze la mia infanzia a Tromello.
Domenica Sammaritano
Opera 4^ classificata
Che credi
Cosa credi di perdere
Mentre ti fermi
Ed allunghi la mano
Per sfiorare
Il cielo
Che stai distruggendo
Lontano da ogni torpore
Che credi di avere scordato
Se quando ritorna la vita
Mi trovi ad un passo da te
A fingere che ieri sia solo
Un rimpianto
Che vale sapere che nulla si perde
Se mille volte ti ho perso
E tu perdi me
Ogni volta
Ogni più piccola volta
Che non mi risparmi
Il dolore
Che credi di aver perduto
Se quello che hai conquistato
Non riesci a capire
Che credi
Che credi
Che credi
Di amare davvero
Per dirti
Convincerti ancora
Ancora una volta
Che ne è valsa la pena
Che ne valga la pena
Di nuovo.
Werther Zabberoni
Opera 5^ classificata
Un padre amico
Non è sempre facile in questa realtà
accettare un mondo con le regole.
Senza un buon esempio,
e con troppa noia dentro
e poca voglia di comunicare.
Pezzi di famiglia
e figli un po’ qua e là,
prima contesi e poi lasciati alla deriva.
Ricoperti d’oro,
comprati ed imbrogliati,
troppo fragili per non buttarsi via.
Figli troppo soli
con la fretta nelle ali
e con affetti ormai troppo lontani.
Sfidano la notte
per stupire e per ferire
e per un vuoto da colmare.
Lanciano segnali che nessuno capirà,
lasciano messaggi che nessuno ascolterà.
E anche l’amore
che ieri era normale,
oggi non li risparmierà.
Per tutti quanti
ci vorrebbe un padre amico,
una grande quercia
che affonda le radici.
Che ti sa parlare
con il cuore nelle mani,
che non si tira indietro
e ancora vuol giocare.
È una fortuna
avere una padre amico,
coi piedi in terra
e la voglia di volare.
Che ha vissuto e solo oggi può capire
come è difficile la vita da insegnare.
Carlo Marconi
Opera 6^ classificata
Claretta una vita spezzata
Ho sognato di te…
nelle membra intorpidite è passato un soffio di vita e di bellezza.
In sogno mi parli…
la tua voce ha la dolcezza della melodia,
il tuo sorriso la carezza calda del sole.
La tua figura aleggia fluttua trasformata di tenerezza
nella nebbia rosata del sogno.
Ti penso.
Nei momenti di più grande tristezza, la sera,
quando il mare increspato è intriso di nero,
quando le onde fosforescenti di piccole scintille d’oro
riflettono in fremito un azzurro travolgente.
Ho freddo e, il calore della tua presenza invoco.
Nella primavera sorridente di fiori
che vibrano sussurri di gioia
ho desiderio di te.
Il tuo amore come un frutto divino è scoppiato al sole,
come un torrente ha spezzato gli argini,
ha invaso il giubilo del mondo,
ha inondato di gioia il mio cuore,
che vibra, freme, è felice.
È come se il sole si curvasse a scaldare solo me,
come se tutte le stelle si riunissero in un manto accecante,
per chiudermi in un cerchio magico di sogno.
Mi accosto tutta tremante alla tua grande anima,
mi sento povera cosa, ricca solo del mio infinito amore.
Mi depongo dinanzi a te tutta tremante,
ti dono la mia giovinezza, ti dono tutta la mia vita.
Lavinia Bova
Opera 7^ classificata
Dopo il temporale
Cessata è la tempesta
Il cielo esaurite le sue dolorose lacrime
si appresta a rinascere a nuova vita
Il vento ha spazzato via l’ultima nube
come un velo fluttuante
E una lama di sole
colpisce al cuore le perle di una ragnatela
inventando mille arcobaleni
La pioggia ha lucidato la strada polverosa
e qua e là pozzanghere come minuscoli laghi
catturano sprazzi di cielo che si schiarisce
svelando l’incanto dell’universo che fa capolino
dagli usci delle case e dalle finestre
Per inebriarsi alla purezza
dell’aria tersa
E tutt’intorno il canto
della natura in festa
Fabiano Braccini
Opera 8^ classificata
Fata, mia dolce fata
Fata, mia dolce fata:
col tocco lieve d’una tua carezza
disciogli i nodi dei pensieri amari,
stempera il senso di malinconia
per come questo mondo va girando;
scaccia via l’ombra cupa del timore
che così prepotente
ognuno sente tormentare in cuore.
Fata, mia fata bella:
allieta coi sogni più stupendi
le notti di chi, senza amici e amore,
trascorre solitario e avvilito
momenti desolati e sempre uguali,
mentre osserva – confuso e smarrito –
quella vita gaudente
che frenetica gli turbina intorno.
Fata, mia cara fata:
irradia del sereno tuo sorriso
i grandi occhi bianchi spalancati
– luccicante di pianto e di languore –
nei volti dei bimbi dimenticati
agli angoli più oscuri della terra,
dove non si ferma mai
la guerra dei pochi contro i tanti.
Fata, mia fata buona:
fai nevicare nel cielo di tutti
un pulviscolo d’oro e di stelle
che possa cancellare in un baleno
il velo nero che ora appanna il sole.
E intona in ogni bocca un canto
che di voce in voce
divenga coro e sinfonia di pace.
Pietro Catalano
Opera 9^ classificata
Quali parole
Quante parole avrei voluto dirti
ma che non ti ho detto,
parole fermate in punta di lingua,
avrei potuto svelarti
i miei pensieri lontani dall’apparire,
potevo dirti parole
che avresti desiderato udire
o temuto d’ascoltare,
ma la vita appare sempre
appesa al filo
d’una parola o d’un silenzio
che grida forte
se lo sguardo s’abbassa
per non arrossire
e non incontrare i tuoi occhi
che rispecchiano la mia anima.
Quale silenzio spezza vite disperate
e quante parole inutili
illudono giovani coscienze,
figli dell’indifferenza di uomini
che feriscono speranze,
perdute nelle parole
e nel silenzio del cielo.
Roberto Ragazzi
Opera 10^ classificata
Le ombre
Riapri i tuoi occhi
abbandona quel sogno che cupo
ti attanaglia la mente,
rivesti di luce le ore che scorrono lente,
dipingi la sera, colora la notte.
Lascia la strada
quel vuoto che sempre ti attornia,
accendi quel fuoco,
che bruci pensieri e sconfitte
e scaldi quell’aria che fredda ti avvolge.
Corri incontro al tuo cielo,
puliscilo dai suoi temporali
che non fanno vedere l’azzurro,
spazza con la forza del vento
ricordi e dolori passati, canta alla vita.
Non fermarti a guardare le ombre
che si distendono lente,
lo sai, le ombre non hanno colore,
ti seguono solo perché costrette
da un raggio di sole a restare al tuo fianco.
Maria Cristina Perin
Opera 10^ classificata ex aequo
Delle stagioni
Ti vestirai di bianco
candida fanciulla
nella luce del mattino
timido bucaneve
chinerai il biondo capo
sul corpo di lui
prato delicato
Indosserai l’abito rosso
sposa profumata
matura rosa vellutata
tra le rocce assetata
di una pioggia appassionata
pochi giorni e già appassita
dal piacere consumata
Ti avvolgerai intorpidita
donna pallida sfiorita
in un nero rigido mantello
perduta nella notte
l’ombra lunga della sera
svanita senza attendere
il risveglio dell’aurora
Maria Paola Vanzini
Opera 1^ classificata Poesia in vernacolo
La festa ad S. Antoni
Duminca a sa festegià,
in asilu paruchial,
la festa ad S. Antoni,
al prutetur di stal.
Una tradizioni mai smintià,
che i nos fitavul han sempar rispetà.
Am ricordi quand seri fiulina,
i fivan i altarin, tut pulid e stirà,
e pëu i spitivan al previ, par benedi e pregà.
I vach tuti raschià, cun al pel lucid
E quasi prufumà, e i stal spasà e lavà,
che i smiivan fina lustrà.
Alura in ti nos pais gh’era una stala ogni psà,
ghera lavur par tanti, dai famëi, i paisan e i salarià.
I munsivan cun i man e l’era un mistè ad capacità.
D’inveran i veg e i fiulin s’andivan anca a scaldà.
I don i fivan al scalfin e i om a ciciarà, a cuntà stori ad vita.
E fiulin li incantà, in silenzia da da tra.
Ades cun la tecnologia anca i vac i’ en viulentà.
Da stal agh m’è ben poc in ti camp al lavur l’è cambià.
As drova i tratur e i machin da bat e da taià al prà.
I fer dal mistè i en tuti a ripusà, tacà su in bela mustra
Me al museo par non smintià.
Forse l’è me insì, parchè la fadiia l’è alevià
Ma parlagan l’è bel par pudè ricurdà
E spiegag ai nos fiulin che i besti i en da rispetà
E al lat al vena dai vach e non dai rubinet al cà!